Riflessioni sul Gender - prima parte

Allora, ricapitoliamo.
La teoria Gender o teoria del Gender o più brevemente il Gender (gender = genere)

Per alcuni – decisamente i più influenti, visibili, mediaticamente forti - una teoria inesistente, ineffabile, emulsione allarmistica del mondo cattolico che brandisce questo strumento che sembra uscito forgiato dalle fucine dei Family Day di mezzo mondo e non vuole farsi una ragione della realtà fresca, stabile e felice del mondo LGBT.
Truffa culturale perpetrata dai nemici del mondo LGBT  - riconoscibili perché prontamente marchiati come omofobi, epperciò meritevoli di giusta discriminazione e emarginazione sociale? – il Gender avrebbe secondo questo versante la stessa consistenza dell’ippogrifo e deve la sua fortuna ai pregiudizi tradizionali e all’ignoranza traviante di quelli che sono chiamati i “gender studies ” che si interessano di esplorare l’evoluzione dell’identità maschile e femminile come costruzione culturale in tutti gli ambiti dell’umano.

Per altri, tra cui il sottoscritto, il Gender non è nulla di fantomatico.
A parte il fatto che  a legittimare l’uso di espressioni  come “teoria del genere”  basterebbe Judith Butler (indiscussa autorità nell’ambito degli studi di genere) che, in un’intervista a http://bibliobs.nouvelobs.com/essais/20131213.OBS9493/theorie-du-genre-judith-butler-repond-a-ses-detracteurs.html  -   ne indica  la nascita dall’incrociarsi dello strutturalismo francese e della tradizione antropologica americana. 
Ma il focalizzarsi sull’espressione  è chiaramente un pretesto, un diversivo:  altro non è che il nome sotto cui si raccoglie quella prospettiva che, proprio perché non vede nell’identità maschile e femminile altro che una costruzione, un artefatto sociale,  costituisce una grave deriva antropologica e un pericolo sociale ed educativo da non sottovalutare.
Il dato naturale, biologico è infatti ridotto all’insignificanza in quanto mero punto di partenza materiale dell’identità: scatola vuota, inerte, il corpo umano diventa un oggetto modificabile e strumentalizzabile in vista di ciò che conta veramente: l’identità di genere.

E cos’è l’identità di genere? La percezione che uno ha di sé, in quale gioco dei ruoli si intende spendere il proprio bruto dato biologico. Sul sito della Presidenza del consiglio dei Ministri Italiano, dipartimento Pari Opportunità questo concetto è già pienamente operativo.

Richiamandosi alla   necessità di applicazione“ Raccomandazione CM/Rec (2010) 5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere” un interessante documento che si chiama “Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT” definisce l’identità di genere “ il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita”.

Andate a leggere entrambi, sono illuminanti.

Di qui la pericolosità e la deriva antropologica della prospettiva di genere: il corpo come un avatar da rendere significativo secondo l’infinita e fluida propria percezione, orientamento sessuale, inclinazione, libido, scelta di giocarsi il ruolo, dramma. Prima l’idea, la teoria , poi la realtà, che deve adeguarsi. Questa si chiama ideologia. E ne presenta tutti i crismi.


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