Riflessioni sul Gender - terza parte


Perché l’universo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) e quello femminista non fanno mezza  - dico mezza -  affermazione senza chiamare in causa il concetto di genere?

Perché - ad esempio - la relazione NOICHL (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2015-0163+0+DOC+XML+V0//IT) in cui si difende appunto l’orizzonte coincidente di questi due soggetti  - e che intende essere una  “relazione sulla strategia dell'Unione europea per la parità tra donne e uomini dopo il 2015” su 39 pagine riporta ben 178 volte il termine genere (gender)?

Possiamo affermare tranquillamente che siamo a livelli compulsivi.

A parte il fatto di essere un monumento enorme contro la tesi secondo cui a parlare di genere sarebbero solo certi ultra-cattolici sospetti di procurato allarme sociale, cosa c’è di così di capitale, di rivoluzionario, di indispensabile in questa prospettiva ?

Non è che accettare e far accettare socialmente il presupposto “gender” -  per cui, in fondo, la realtà   conta meno dell’elemento “culturale” costituito dalle proprie categorie, rivendicazioni, desideri o dalla propria percezione - è la chiave aurea che apre la strada al successo delle loro battaglie e alla delegittimazione di chi si oppone ?
 E’ il mostro della libertà che divora la realtà, non più difesa da quella ragione che nella postmodernità si è fatta debole e servile? Su questo ci ritorneremo.

 L’universo LGBT quello femminista ne hanno immediatamente e innegabilmente individuato il potenziale e lo hanno efficacemente assunto e sfruttato per un uso politico e rivoluzionario imponendolo a livello internazionale come concetto cardine per  interpretare i loro diritti negati.

Riassumo in centoni la premessa storico-linguistica.
 Se in un primo momento il concetto di genere era usato per distinguere il genere maschile dal genere femminile è presto divenuto il termine chiave per analizzare sociologicamente e affrontare politicamente il tema dell’uguaglianza tra uomini e donne: dall’ingiustizia sociale - la discriminazione di genere - rappresentata dalla mancanza di reali pari opportunità in ogni ambito dell’operare umano, praticamente sempre a scapito della donna alla la parità di genere come parola d’ordine contro un maschilismo dispotico praticato in ambito politico, economico, del mondo del lavoro e soprattutto famigliare (lotta contro il patriarcato).
Osservava Joan W. Scott, punto di riferimento storico del femminismo, in un testo intitolato “Il "genere":  un'utile categoria di analisi storica” che “ un numero notevole di libri o articoli concernenti la storia delle donne ha sostituito, in questi ultimi anni, "genere" a "donne" nei propri titoli”.
Come mai ?  L’utilizzo di un termine più inclusivo – per non dire generico nel senso di vago e inconsistente - arruola più soggetti pronti a lottare contro la discriminazione.
L’identificazione della discriminazione delle donne con quella di genere è infatti immediata, ça va sans dire
Se poi, come annota la Scott,  “ …"Genere" è usato altresì per designare i rapporti sociali tra i sessi, e rifiuta esplicitamente qualsiasi spiegazione di ordine biologico” la cittadinanza al mondo LBGT e alle loro cause è  praticamente cosa fatta.

 L’emancipazione tanto ambita passa attraverso per la “gender equality”.


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