Riflessioni sul Gender - Quarta parte

Abbiamo visto come il termine “genere” sia storicamente l’aggregatore, il centro di gravità che ha permesso la sinergia di lotta del mondo LGBT e di quello femminista.
 Dopo la lotta per la razza e quella di classe, arriva la lotta di genere.
Dinamiche che si ripetono: l’innesco è sempre l’ingiustizia sociale, la rabbia e l’indignazione contro un iniquo trattamento - la vittimizzazione – e  l’azione politica come mezzo per cambiare le “strutture”, imporre la propria visione e fare piazza pulita di chi non aderisce.

Il governo nazista doveva sconfiggere il mostro sionista, quello comunista la bestia capitalista, il governo “di genere” il bigotto, maschilista omo-trans-queer-no-so-cosa-fobo (almeno a parole certamente anch’esso un mostro!)

Addentriamoci nelle similitudini.
Abbiamo ancora la memoria fresca, riconosciamo ancora la puzza delle ideologie, abbiamo imparato che è un’utilissima bussola morale per comprendere l’umanità.
 Non dimentichiamo perché ci serve per capire il presente e il futuro.

Proprio come nelle peggiori ideologie del Novecento chi si pone nella prospettiva di genere come cifra assoluta per comprendere l’identità sessuale, condiziona il valore dei suoi interlocutori all’accettazione della propria idea o teoria e utilizza la violenza legale (vedasi le potentissime avvocature della rete LGBT), la persecuzione pubblica (criminalizzazione di chi si oppone tramite la creazione di reato di opinione specifico, vedasi  il reato di omofobia), la pressione sociale (attività di lobbying / normalizzazione degli atti omosessuali tramite ad esempio la tecnica della sovraesposizione mediatica).

E poi come nuovi balilla, nuove leve della hitlerjugend, oggi abbiamo come mascotte i bambini “di genere”:  l’esibizione dei bambini transgender, i figli del mondo arcobaleno.
 Che dire della polizia Lgbt istituita ad hoc in Spagna che punisce e indaga come autorità per la diversità ?
Che dire di cantanti, attori, ballerini, artisti che ammiccano al  “regime” con bandierine, nastrini, spillette arcobaleno? Già visti?

 I mezzi sono sempre gli stessi: darsi un linguaggio nuovo, con nuove definizioni che mascherino la realtà e la costringano entro le forme che si vogliono affermare: la sempre utile Nomenclatura.
Come squalificare l’avversario? Si squalifica classificando.
  E allora eccoci  letteralmente sommersi, nel giro di qualche hanno, da un fiume di neologismi: omofobia, genderfluid, intersex, cisgender, disforia di genere, queer, omogenitorialità, eteronormatività ecc…
Tutte espressioni tassative da memorizzare per rispettare rigorosamente pena la scomunica =  taglio della comunicazione, la ghettizzazione.
Questi i termini “rispettosi”, il resto è bigottismo.

Giornalisti, redattori, registi, esperti di genere (gli esperti sono il cameo obbligatorio di qualsiasi distopia!), tutti arruolati presso l’agorà fatta di università, enti governativi, blog, spettacoli, luoghi dove si fa cultura per stilare alfabeti, elenchi, grafici  in cui applicarsi nella tassonomia di genere e istruire noi barbari.

Oggi gli utensili sono cambiati: il potere, gli strumenti di governo, ciò che crea consenso è cambiato.
La punta di diamante di ogni ideologia sta nella capacità di propaganda, oggi lo chiamiamo social marketing. I censori postmoderni si chiamano opinion makers, amministratori del gruppo, webmasters e operano con banner e policy alla mano, ma la sostanza non è cambiata affatto.








Commenti

Post più popolari